Apr
17
2011

Otros Aires a Roma: una folla inferocita riempie la milonga e svuota il tango del suo significato più profondo

I diari della Luchadora #10

Avevo detto che nel post successivo avrei trattato “il sorriso”. Ma avevo anche detto (forse più a me stessa che ai miei lettori…se poi qualcuno mi legge!) che sarei stata più costante nell’annotare le mie impressioni in milonga. E, invece, eccomi qui a scrivere dopo una lunga assenza dal blog e per parlare di un altro tipo di “sorriso”.

Voglio parlare di ieri sera. Per la prima volta, con tanti miei compagni tanghéri, sono andata al concerto degli Otros Aires. Il luogo era “La Milonga della Stazione”, sulla Casilina Vecchia a Roma. Di per sé il posto è bello: una vecchia stazione ferroviaria rimessa tutta a posto in stile liberty. Eppure ogni volta che vado, stimolata dalla bellezza oggettiva del luogo e dal tipo di serata (per una particolare esibizione di noti ballerini o per bravi musicisti o, ancora, per conosciuti musicalizadores) ecco qua che dopo dieci minuti che sono arrivata penso: “Mai più!”.

Appuntamento alle 20 alla Milonga della Stazione con i miei compagni tanghéri. Il programma: fare la pratica fino alle 21.30, cenare a buffet, chiacchierare seduti al nostro tavolo prenotato per dieci persone, ballare prima che la sala si affolli per l’esibizione degli Otros Aires, ascoltarli sperando che ci sia un metro quadrato dove ballare sulle note del loro tango elettronico.

Qualche giorno fa ho discusso con un amico argentino: di fronte alla mia euforia per avere in mano il biglietto per la suddetta serata mi ha rimproverata. Anzi, ha apostrofato la mia eccitazione con un secco e acido: “Senza parole”. Non capendo la reazione gli ho chiesto spiegazioni. La sua risposta è stata questa: “Provo fastidio per un mondo (tanghéro) che si comporta come un cane che si morde la coda: si lotta contro lo svuotamento generale e poi si sostiene chi si genera dallo svuotamento e con questo ci si nutre!”

Ho pensato e ripensato a quelle parole. Oggi le ho fatte mie. Per diverse ragioni, forse anche per ragioni che quel mio amico non avrebbe mai pensato di generare nella mia mente.

Ritorniamo alla serata appena trascorsa. Alle 20 siamo alla “Milonga della Stazione”. Il nostro tavolo per dieci persone è in realtà un micro tavolo per quattro persone. Ma non vogliamo fare discussioni con l’organizzazione perciò ci sistemiamo in modo tale da non creare eccesivo disturbo anche ai vicini di tavolo che, probabilmente, saranno incappati come noi nella fregatura: in modo ordinato sistemiamo le giacche e le scarpe nei luoghi adibiti (mi chiedo quanti e quante abbiano la stessa accortezza: alle 22 già vedevo stivali e scarpe sotto ai tavoli, borse e giacche ammassate su sedie e tavoli!). Impossibile fare la pratica: troppa gente e, come al solito, meno uomini rispetto alle donne. Ore 20.30: decidiamo di mangiare qualcosa. Impossibile: il buffet è finito. Che si fa? La milonga si trova in un posto isolato: attorno non ci sono altri punti ristoro! Si decide (come se fosse una scelta!) di rimanere senza cena. Ore 22.45: ci raggiunge, trafelata, un’altra amica. E’ fuori di sé. Ha girato quasi un’ora per trovare parcheggio. Se non avesse comprato il biglietto dieci giorni prima sostiene che se ne sarebbe andata a ballare da un’altra parte. Ma, in tempi di crisi, buttare via così 15 euro (perché il prezzo del biglietto era di 15 euro in prevendita, altrimenti 18 euro) mai e poi mai. E alla fine, girando e girando, era riuscita a trovare un posto con la macchina. Spesso rifletto sull’assurdità di queste situazioni: quando si sa che ci sono queste serate, mi chiedo, se non sarebbe più intelligente da parte nostra evitare di prendere una macchina ciascuno e, invece, organizzarsi con poche macchine. Si eviterebbero caos, inquinamento e stress (noto che la resistenza a questi comportamenti, comportamenti considerati “normali” in altri Paesi, c’è soprattutto da parte dei maschietti. Qualcuno sa darmi una spiegazione razionale?). Ma soprattutto si eviterebbero inutili sprechi di benzina. Soprattutto ora che l’Italia è in guerra con “gli alleati” contro il nostro ex amico dittatore. Ma evitiamo di scendere in discussioni politiche: non perché non m’interessi, anzi, ma perché non voglio sviare l’attenzione su altro.

Ore 23: esco a fumarmi una sigaretta e, passando davanti alla cassa, sento qualcuno dell’organizzazione dire che i biglietti venduti sono più di 600 e che stanno arrivando tante altre persone. Mi chiedo come faranno a gestire in modo adeguato più di 600 persone. E, soprattutto, non è pericoloso? Mi torna in mente la tragedia della milonga “Repùblica Cromanòn” di Buenos Aires del 30/12/2004 in cui, in seguito a un incendio, persero la vita 194 persone. Accendo la sigaretta e cerco di scacciar via questo pensiero. Ma non mi riesce e mi sento come quando si tenta di far uscire il fumo della propria sigaretta fuori da una finestra che, però, il vento contrario fa rientrare tutto nella stanza in cui ci si trova. Lì fuori, mentre fumo, incontro un amico che non vedo da tempo. Dopo i convenevoli lui si lancia in mille invettive contro la serata. E come fare a dargli torto? Mi racconta che parecchie persone con cui era venuto se ne sono andate via chiedendo indietro i soldi. Una ragazza che ci sta accanto si intromette nella conversazione esplodendo: “Hanno fatto bene! Questa serata è una truffa!”

Rientro in milonga e resto a bocca aperta: i tavolini attorno alla pista non ci sono più. Sono stati inghiottiti dagli uomini e dalle donne che sostano in piedi per invitare o farsi invitare a ballare. Mezza pista è occupata da questa gente. Cerco di arrivare al mio tavolino e trovo i miei amici indiavolati: il muro umano che sosta davanti al tavolino non solo non consente di farsi invitare come dovrebbe avvenire in una milonga ma non permette neanche il passaggio di un filo d’aria. Già, non c’è ossigeno e anche a me inizia a girare la testa: è agorafobia o il locale è decisamente troppo pieno? Bevo un po’ d’acqua, mangio una caramella e decido che non fumerò altre sigarette per il resto della serata per non rischiare di svenire.

Che tortura sentire il bravissimo musicalizador Mauro Berardi mettere su un tango più bello dell’altro, tentare di ballare su invito di bravi tanghéri e desistere alla fine di ogni tanda perché continuare significa andare incontro al rischio di farsi falciare da un tacco a spillo o da un gomito in un occhio!

Sono seduta al mio tavolino a chiacchierare con i miei amici. L’argomento è: “stasera è andata così, ce lo immaginavamo…mai più! Veramente!”

Attraverso il muro umano che mi separa dalla pista vedo spuntare la sagoma di una persona che tenta di venire verso la mia direzione. Impossibile capire chi sia. Dal braccio peloso che tenta di aprirsi un varco tra l’enorme posteriore femminile fasciato in un abitino succinto che, non curante, campeggia di fronte alla mia faccia e un massiccio uomo alto quasi due metri, ecco spuntare un tanghéro con cui spesso mi piace ballare.

“Che impresa stasera! – mi dice, aggiungendo – Che facciamo? Proviamo a ballare?” La folla che si muove scomposta, nella metà pista non occupata da persone in sosta in piedi ad aspettare, mi fa presagire il peggio: calci, gomitate e tanto stress. Ma mi sembra troppo brutto dire di no anche perché il concerto degli Otros Aires deve ancora iniziare e magari dopo sarà ancora più difficile riuscire a ballare. Iniziamo a ballare e alla fine della tanda capisco che al mio ballerino andrebbe consegnata una medaglia d’oro per esser stato capace di mantenere una calma stoica mentre, per proteggermi, prendeva spintoni e calci al posto mio. Io ne esco illesa. Lui un po’ meno. E non si lamenta. A quel punto al microfono viene annunciato il concerto degli Otros Aires. Io e il mio compagno lasciamo la pista. Lui mi riaccompagna al tavolo (che bella rarità!). Lo ringrazio: non è il caso di continuare soprattutto ora che avrà inizio il concerto di tango elettronico.

Gli Otros Aires si lanciano nelle loro prime note ed è lì che una folla inferocita si sposta dal fondo della sala correndo. Sì, correndo, proprio come fanno i ragazzini in un disco pub quando sentono che viene messa su una musica che li aggrada! Solo che, in questo caso, si tratta di ultra quarantenni…o su di lì! Dunque, la folla esaltata raggiunge la pista. Se poco prima, mentre ballavo, notavo come quasi nessuno rispettasse la ronda (in realtà di ronda non ce n’era neanche la più pallida traccia: ognuno se ne andava per i fatti suoi, fregandosene delle centinaia di altre persone attorno: chi a destra e a sinistra, chi avanti e indietro, chi addirittura a zig-zag!) a quel punto mi chiedo cosa possa svolgersi nel cuore di quel che sembra un vero e proprio carnaio senza regole.

La voglia di andarmene aumenta ma sono anche curiosa di vedere come va a finire la serata. Quando il concerto sta per volgere al termine ecco che arriva l’esibizione dei due bravissimi ballerini Daniel Montano e Natalia Ochoa. Che ve lo dico a fare? Impossibile osservarli nella loro bellezza: dal muro umano attorno alla pista ora si levano anche le braccia che stringono tanti telefoni di ultima generazione pronti a riprendere l’esibizione da uploadare il giorno dopo su youtube o facebook. Ma perché, invece, non godersi lo spettacolo dal vivo e consentire altrettanto anche a chi sta dietro? Inutile porsi domande. Quindi rimango seduta al mio tavolino, stavolta da sola perché anche gli altri miei amici hanno preso parte al muro umano. E lì, la sorpresa: tra il mio tavolino e il muro umano che circonda Daniel Montano e Natalia Ochoa si è creata una striscia di pista vuota. È un attimo: lo sguardo fugace con un altro tanghéro che conosco di fama per la sua bravura. La mia mirada, il suo cabeceo. Io mi alzo, lui mi viene incontro. Ci abbracciamo. Gli Otros Aires suonano. Una striscia di pista è tutta per noi. Gli sussurro all’orecchio: “Lo so, forse non è buona educazione ballare durante un’esibizione, ma forse questa stasera è l’unica possibilità che abbiamo per ballare veramente gli Otros Aires dal vivo”. Lui mi risponde ridacchiando: “Neanche se ne accorgeranno!”

Tra il secondo e il terzo tango notiamo che con molta discrezione altre due coppie si sono unite alla nostra micromilonga. E, allora, ecco la dimostrazione di come sia possibile mantenere il rispetto e l’educazione verso altre coppie, all’interno di pochi metri quadrati: riusciamo a gestirci il piccolo spazio a disposizione. Abbiamo creato una micromilonga nella milonga. Sto ballando gli Otros Aires dal vivo come sognavo. Il concerto finisce. Ringrazio il tanghéro e, tornando a sedermi, penso che è la prima volta che ballo gli Otros Aires dal vivo e che ora posso affermare che se non avessi saputo che oltre il muro umano, sul palco, ci fosse stato il famoso gruppo di tango elettronico, se mi avessero detto che era solo la musica di un file mp3 che usciva fuori dagli altoparlanti, io ci avrei creduto! Questa non è una critica verso un gruppo che comunque mi piace molto. Ma non potevo fare a meno di chiedermi dove fossero finite le profonde vibrazioni degli strumenti che solo la musica dal vivo può regalare. Non c’erano.

Il concerto è finito: la folla diminuisce improvvisamente. Si avvicina a me “il fenomeno” (ricordate il tipo col “cappello a cilindro” di parecchi mesi fa?). Mi invita a ballare un tango tradizionale. La pista è molto meno affollata. L’abbraccio è intenso come i nostri respiri. Riusciamo a interpretare i tanghi che stiamo ballando. E quando la tanda volge al termine io ho il primo vero genuino sorriso della serata. Lui si scusa perché a suo parere non è stato in grado di gestire al meglio lo spazio. Io sorridendo gli chiedo se sia diventato matto: “È sempre un piacere ballare con te”. Sì, sul finire della serata io ho ballato tango. Ed è ora di andare a casa perché ormai lo so che quando ballo in un certo modo, e con certe persone, posso anche andare a dormire soddisfatta. Non ho bisogno di nient’altro.

Sono le 02.30 del mattino. Sono in macchina, direzione casa. Il semaforo è rosso. Ne approfitto per accendermi la sigaretta che mi ero negata durante tutta la serata. Quando scatta il verde si accende anche una lucina nella mia testa. Ecco che capisco il significato delle parole del mio amico argentino: “Provo fastidio per un mondo (tanghéro) che si comporta come un cane che si morde la coda: si lotta contro lo svuotamento generale e poi si sostiene chi si genera dallo svuotamento e con questo ci si nutre!”

La Luchadora 17 Aprile 2011

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