Ott
29
2010
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La vita è una milonga e io non tango da sola

I diari della Luchadora #5

A volte capita che da un abbraccio con un perfetto sconosciuto si origini un fiume di emozioni e sensazioni inaspettate. A volte, invece, capita che più si conosce una persona più l’abbraccio con questa persona non genera grandi emozioni o, addirittura, genera fastidio. Ma perché? Quanto la conoscenza dell’altro condiziona l’intensità di un abbraccio? E in che modo l’abbraccio può essere condizionato?

La Luchadora torna a scrivere. E stavolta lo fa dopo aver inaspettatamente spaccato in due la comunità tanghéra romana. Scrivo “tanghéra” e non “tanguera”. E lo faccio con cognizione di causa perché sono una purista della lingua italiana. In post precedenti a volte avevo fatto uso della “h”, altre volte della “u”. Voglio chiarire l’equivoco: da oggi farò uso della “h”, a meno ché non si tratti di una parola in argentino. Ma in quel caso la leggerete in corsivo. Dicevo… torno a scrivere dopo aver sollevato, senza volerlo, un polverone nella comunità tanghéra romana. Fortunatamente lo strumento del blog o dei social media consente di interloquire in tempo reale con i potenziali lettori. Ma non consente, come penso sia avvenuto in questo caso, di chiarire. Dopo l’ultimo post ho ricevuto molti ringraziamenti soprattutto da parte di molte donne, ma anche di molti uomini (per lo più “giovani”, il che ci offre speranza!) maggiormente sensibili e che sono stati capaci di cogliere il messaggio che volevo comunicare. Se la vita è una milonga, non si può certamente pretendere di essere accettati da tutti. Ed è per questo che ho ricevuto anche molti insulti da chi si professa “gentiluomo” o “gentildonna”. È stato addirittura “simpatico”, per non dire “surreale”, venire a sapere che una donna ha scritto, riferendosi a me: “Quando je menamo?”. Si è addirittura ventilata l’ipotesi che io sia un’organizzatrice di serate milonghere in incognita, e che mi nasconda dietro a uno pseudonimo per codardia. Mi spiace per la povertà culturale di questi ipotetici lettori che evidentemente non sanno quanta distanza copre l’anonimato puro da un semplice pseudonimo che prima o poi rivelerà la persona che si cela dietro al nome “la Luchadora”. Come ho già risposto a qualcuno di questi lettori, mi spiace che le mie parole non possano essere comprese da tutti. Ma questi sono diari. E i diari, si sa, si basano su sensazioni e osservazioni personali. In quanto sensazioni sono personali e, dunque, non devono essere oggettive e necessariamente condivise da tutti. Ma soggettive. Una persona può decidere di rispecchiarsi nelle parole di un’altra o meno. Però chiedo rispetto. Lo pretendo.

Questa volta voglio raccontarvi qualcosa a proposito dell’abbraccio. Non parlerò dell’abbraccio sociale dei “tàngheri”. Sì, avete letto bene: “i tàngheri”. Perché, la scorsa settimana, quell’inesistente abbraccio sociale mi aveva quasi fatto venir voglia di pensare: “Ma chi me la fa fare non solo a condividere pensieri e parole ma, addirittura, chi me la fa fare a condividere l’abbraccio con persone che magari spendono cattiverie nei miei riguardi e poi non si chiedono se – questa sì che è divertente, preparatevi! – per caso loro ci abbiano mai ballato con la Luchadora! E magari gli è anche piaciuto ballarci insieme! Eh, già…

La cosa sorprendente è che il profondo abbraccio individuale con un tanghéro, una volta svelata la sua identità di “tànghero” capace di far “branco” con tanti altri “tàngheri”, svanisce nel nulla. E allora? Allora forse ha ragione chi sostiene che nel tango non bisogna parlare ma solo ballare? No, non voglio cadere in questa cinica visione della milonga. Perché se la vita è una milonga e se il tango mi ha aiutata a riscoprire il calore della vita attraverso l’incontro di due anime, io di certo non mi farò scoraggiare dal mancato abbraccio sociale dei “tàngheri”.

Sono tornata in una milonga con i miei amici. E pensare che neanche i miei amici più intimi immaginano chi si celi dietro alla Luchadora! Eravamo in milonga. Mi vedevano un po’ restia nel ballare. Io lo sapevo cosa non andasse in me: sapevo di temere che la delusione dell’abbraccio sociale dovuto alle polemiche relative all’ultimo post, per me, si potesse tradurre nella delusione dell’abbraccio individuale. Dopo aver accettato i primi inviti a ballare ho scoperto che ci si può riappropriare di una sorta di bellezza dell’abbraccio anche con un “tànghero-tanghéro”. Ma che questa, d’ora in poi, sarà una bellezza superficiale, quasi tecnica. Puramente estetica. Non certamente profonda, sentita, vissuta. Quando, invece, ho abbracciato chi nei giorni scorsi ha inconsapevolmente preso cura del mio asse durante l’avvitamento sociale che quel mio post ha creato all’interno della comunità tanghéra romana, ho sentito l’abbraccio vero. E, allora, sì, ne ho avuto la conferma: la vita è una milonga. Da una discussione se ne può uscire più uniti oppure ci si può ritrovare uno di fronte all’altra, sapendo e sentendo di non esser fatti per condurre insieme neanche un passo. Perché non c’è armonia, non c’è ritmo, non c’è ascolto.

Qualche giorno dopo, in un’altra milonga mi è capitato di ritrovarmi nell’abbraccio con un perfetto sconosciuto. Una mirada e via. Ecco la sua mano sinistra pronta ad accogliere la mia mano destra. Non la stringeva. Eppure c’era. Pochi attimi dopo ho appoggiato il mio braccio sinistro sulla sua schiena. Un lungo respiro per ascoltare il battito dell’altro. I primi passi. Lui ascoltava me. Io ascoltavo lui. Non parlavamo, eppure stavamo comunicando. Respiravamo l’intensità delle pause attraverso i nostri sguardi. Eravamo entrambi presenti senza imporci. Mi sono chiesta come sia possibile un’intima comunicazione a due, senza pronunciare una singola parola. Forse perché in quell’intimo rapporto a due, in cui ci si dimentica di essere circondati da tanti altri microcosmi, non ci sono sovrastrutture dettate da un branco d’appartenenza? Forse perché il tango è anzitutto fiducia? Sì, il tango mi ha fatto l’ennesimo regalo inaspettato. Mi ha regalato la speranza. La speranza di potermi fidare dell’abbraccio con un perfetto sconosciuto.

La vita è una milonga e il tango ci regala la speranza di poterci fidare dell’abbraccio di uno sconosciuto. È un regalo prezioso. Ed è per questo che dobbiamo prendercene cura. Ed è per questo che, superata la tempesta, “io lo so che non tango da sola”.

La Luchadora


Written by Luchadora in: Varie | Tag:, ,
Ott
27
2010
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I Diari di Escamillo

Cari Visitatori,

dopo il successo riscosso dai Diari della Luchadora ecco, per par condicio, arrivare la sua controparte maschile.

Ci è sembrato carino ospitare gli articoli di un nuovo redattore, un milonguero neofita, che qui, con queste prime poche righe, presentiamo con il suo nome di battaglia tanguero: “Escamillo” ! :-P

Escamillo come La luchadora scriverà dunque per voi, per noi, le sue pagine di diario, il punto di vista di una uomo che inizia il suo cammino milonguero, le sua passioni, le sue scoperte….finchè ne avrà voglia e con cadenza a piacere.

Riflessioni che spero ci facciano vivere momenti nuovi, oppure ricordare quelli già vissuti, ci facciano fermare a considerare oltre ai passi, alla musica, cosa c’è di nuovo e antico che riscopriamo nel ballo di coppia.
Nel Tango Argentino.

Auguriamo buona penna a Lui, buona lettura a Voi, nella speranza che alla fine ci si ritrovi comunque sempre nell’abbraccio della musica e della passione.

Escamillo si presenta #1

La Carmen di Bizet è l’unica opera che conosco, ma a quanto pare quella giusta, la sua storia si avvicina alla mia in maniera impressionante.

Buongiorno cari, Escamillo !

Ciascuno di noi ha i propri momenti poco felici, il mio ultimo momento poco felice è stato la causa che mi ha fatto conoscere il tango argentino.

Io non mi sognavo nemmeno lontanamente di iniziare a ballare tango.
Avevo provato a ballare la salsa, ma non mi aveva coinvolto, e l’atmosfera non mi piaceva.

Un giorno, di questa estate passata, alcuni amici mi hanno convinto a provare, mi trovavo ad una festa, in pieno centro di Roma, c’era gente che ballava.
Ho iniziato così: tanguero per caso.

Ebbene non ci credevo nemmeno io, eppure eccomi qui, io, che credevo di essere negato per il ballo, a provare addirittura il tango.
C’è qualcosa che mi ha stregato in questo ballo, e condivido queste pagine con voi nella speranza di capire meglio cosa è che rende il tango così coinvolgente.

All’inizio mi sono detto: è chiaro, è un ballo di contatto fisico, ti piace quello.
Poi però mi sono reso conto che c’era dell’altro, qualcosa di nascosto.

La musica ? No in verità faccio fatica a sentirla, anche se istintivamente mi piace.
Forse la vittoria sulla vergogna di fare qualcosa che credevo di non poter mai fare.
O Il vincere l’imbarazzo di muovermi in pubblico abbracciato ad un’altra persona.
O ancora l’aver sfatato il mito che ballare non era materia per me.

Io faccio parte di una generazione cresciuta in discoteca, non educata alla musica, figuriamoci al ballo.
Credo che il tango stia avendo il successo che si merita per aver restituito una dimensione che ci appartiene e che era stata dimenticata.

Da quando ho iniziato con il tango sembro un drogato, esco per ballare, insomma per provare a ballare, almeno quattro volte a settimana.
Faccio il giro di tutte le milonghe della capitale.

I miei amici mi dicono che sono peggiorato, che stavo meglio prima quando ero intristito e avvilito.
Ora a volte li vedo preoccupati per me e anzi spesso mento loro dicendo che esco per altre faccende, non per andare a ballare.

Mi sono reso conto che questa “febbre del tango” prende anche altre persone, praticamente tutte le persone neofite che incontro ne sono afflitte.
Perchè ?
Cosa c’è in questa attività che ci rende così dipendenti da essa ?

E’ il bisogno di affetto che ci porta nelle braccia dell’altro ?
La musica struggente che fa da catalizzatore emotivo per quelli venuti fuori da una storia finita male come me ?
Oppure semplici motivi materiali come il contatto fisico ?

Vi confido un segreto: mi imbarazzo spesso quando muovo i miei passi in sala, non per la tecnica scarsa, non per l’abbraccio stretto con una sconosciuta, nemmeno per la musica.

A volte a contatto con l’altra persona sento il suo cuore battere forte contro il mio petto, le sue emozioni sono fisicamente percepibili, questa cosa mi fa impazzire, perdo ogni capacità motoria, non sento più nulla solo quel BUM BUM BUM BUM contro di me.
Mi imbarazzo perchè non ci sono abituato, però mi piace.

Ecco ho scoperto un mondo che mi manda fuori di testa.

Ogni volta che entro in milonga è il IV Atto della Carmen:

È il giorno della corrida.
La folla attende Escamillo, che entra trionfante nell’arena.
E penso Escamillo è ancora vivo, sente battere il suo di cuore e quello delle donne che abbraccia, e il resto per il momento non conta.

Escamillo


Written by admin in: Cultura | Tag:,
Ott
23
2010
2

I diari della Luchadora #4

Un tanga non fa un tango. Ma una bombilla fa una milonga.

Un tacco dodici centimetri? Una gonna corta dallo spacco vertiginoso? Una scollatura che non lascia spazio all’immaginazione? Uno smalto rosso fuoco? Sono veramente questi i dettagli che rendono una donna sensuale? E quando la sensualità si traduce in volgarità?

Nelle milonghe, ultimamente, noto con un po’ di rammarico che spesso si confonde la sensualità con la volgarità. Ma che cos’è la volgarità? Sicuramente è oggetto di discussioni spassose con altre donne. Ma lo spasso, talvolta, può trasformarsi in rabbia. Com’è possibile che quella ragazza non si renda conto di essere ridicola? E perché quell’uomo anziché non assecondarla la induce ad aumentare quel comportamento grottesco?

Giorni fa mi è capitato di andare in una milonga dell’Eur. Una sala spaziosa, dal liscio pavimento di marmo, all’interno di un edificio costruito da Mussolini. Sono sempre stata un po’ restia nell’entrare in quella struttura architettonica della mia città, frutto di un orribile passato della mia terra. Tuttavia tutti parlavano di quella milonga come di una location perfetta per il tango. La mia curiosità era diventata troppo forte e, soprattutto, mi ero convinta che una milonga all’interno di un edificio d’origine fascista potesse essere un buon modo per riappropriarsi di un luogo che comunque c’è, ancora esiste, ed è impossibile ignorarlo. Ma è stato proprio lì che ho assistito a uno degli spettacoli più brutti degli ultimi anni. Una formosa ragazza di poco più di vent’anni, decisamente poco sobria, si agitava stretta in un abitino scollato e corto nel mezzo della sala. Arrancando sui suoi scintillanti tacchi alti si aggrappava a un uomo sulla quarantina, o su di lì, che la strapazzava a destra e a sinistra alzandole (distrattamente?) il lembo della gonna corta che scopriva interamente il suo fondoschiena neanche troppo piccolo e solcato da un sottilissimo perizoma nero. La prima cosa che ho pensato è stata: “Questo è certamente un tanga ma non è certamente un tango!”

Come la maggior parte delle persone presenti ho cercato di non badare troppo all’episodio. Lo ammetto: ho provato vergogna per la scena che si svolgeva di fronte ai miei occhi. Quasi mi sono scoperta in cerca di un telecomando immaginario per cambiare canale. Ma quella non era una velina che si faceva umiliare in diretta tv. Era una ragazza vera. In carne e ossa. Ho pensato: “Avrà bevuto un bicchiere di vino, può capitare di non reggerlo! A chi non è mai capitato? Può accadere, è umano!” Ma poi ho assistito alla scena successiva e ho pensato: “No, tutto ciò non dovrebbe accadere in una milonga così come nella vita quotidiana!” La ragazza era seduta su un cuscino davanti allo stand di un famoso negozio di scarpe da tango che quella sera esponeva la merce in vendita. La ragazza poco sobria faceva finta di allacciarsi e slacciarsi le scarpe. Provava modelli nuovi. Il tutto davanti a un fotografo tanguero che le chiedeva di continuare lo svilente teatrino perché lui ne avrebbe tratto un “fantastico reportage di milonga”. La ragazza allora proseguiva. E io pensavo che più di un reportage di una milonga si trattasse di un reportage che in gergo militaresco si definirebbe “da un’area di crisi”. Il tutto si svolgeva davanti al proprietario dello stand che inizialmente era interdetto, poi infastidito, quindi decisamente arrabbiato quando la ragazza, noncurante e in posa davanti all’obiettivo, facendo finta di leccare le suole delle scarpe in vendita, ha rovesciato un intero cocktail a terra. Né la ragazza né il fotografo hanno chiesto scusa. Anzi, la ragazza ha afferrato al volo un paio di scarpe incorniciandole al suo volto. E, insieme a quel paio di scarpe, non si è lasciata sfuggire l’occasione per mostrare all’obiettivo del fotografo una falsissima faccina che con aria “birichina” sembrava dire: “Oh, che sciocchina che sono!”. Il fotografo l’ha presa per un braccio e l’ha portata via. Saranno stati in molti a tirare un sospiro di sollievo. Il mio telecomando immaginario aveva funzionato? Ero riuscita a cambiare canale? Niente affatto: i due si erano spostati pochi metri più in là. E mentre il proprietario dello stand di scarpe da tango asciugava il pavimento, i due – in area di crisi esistenziale – si erano sistemati attorno a una colonna marmorea della grande milonga. La ragazza si strofinava sulla colonna e il fotografo continuava a scattare foto. Una tristezza infinita aveva invaso la milonga. Né Gardel, né Piazzolla, né tantomeno Pugliese sarebbero stati in grado di ripristinare la magica atmosfera di una vera milonga. Quei due erano come un brutto graffio su un antico e prezioso vinile. Per tutti noi tangueri la serata era finita. Il tango era svilito. Tornando a casa, continuavo a chiedermi il perché fossimo stati tutti costretti ad assistere a quella brutta scena. Perché nessuno fosse intervenuto per dire: “Hey, questa è una milonga!”

La bellezza di un corpo si era trasformata in volgarità. Il fascino della milonga, di colpo, sembrava essere diventato una chimera. E allora mi chiedo se tutti quegli esperti tangueri, molto critici verso la non oculata diffusione del tango, con cui spesso discuto non abbiano, invece, ragione. Che l’eccessiva e superficiale diffusione del tango possa rischiare di inquinare una filosofia di vita? Che la folle sfrenata commercializzazione di un’arte come il tango possa portare a dimenticarne le origini?

Sono una donna luchadora. Amo la bellezza dei corpi in movimento. Ma non ne sopporto la mercificazione. Soprattutto se si tratta dei corpi femminili. E penso di non poter tollerare, dunque, neanche la mercificazione del tango e delle milonghe. Forse, dunque, è vero quel che un gruppo di giovani tangueri romani inizia a sostenere con forza. Qui a Roma, infatti, c’è un gruppo di ragazzi che ha da poco lanciato “Bombilla”. “Bombilla – uno di loro spiega - in spagnolo è la lampadina, è l’idea di un posto essenziale: una stanza, una luce e la musica. Niente laser colorati, niente aperitivi, niente esibizioni, niente fronzoli. Solo l’essenziale per ballare”.

Tornare, dunque, alla bellezza dell’essenziale. Perché è lì che le anime trovano lo spazio per riascoltarsi in tutta la più profonda sensualità, femminile e maschile. Perché la sensualità, certamente, non è solo donna. E non è solo a senso unico. È anche comunicazione. Non finzione.

La Luchadora


Ott
08
2010
1

I diari della Luchadora #3

Un cappello a cilindro, una mariposa e un appassionato divertimento

Quante volte nella vita immaginiamo una situazione che siamo certi prima o poi dovrà accadere, ma la immaginiamo lontana perché al momento non ci sentiamo all’altezza di fronteggiarla? E se, inaspettatamente, quella situazione dovesse capitare quando ancora non ci sentiamo pronti ad affrontarla? Che fare? Evitarla o prendere coraggio pensando che un “no” potrebbe costituire la perdita di un’occasione?

Entro in milonga insieme al mio gruppetto di amici tanghéri (milongueros. Ndr). E’ una milonga all’interno di un vecchio circolo culturale nella periferia urbana. Sul fondo della sala c’è una vera orchestra argentina che suona dal vivo. Arriva il primo invito. È stata una giornata pesante e mi sento stanca. Ma accetto. Forse il tango mi aiuterà ad alleviare la stanchezza della quotidianità, penso. Purtroppo già dopo il primo tango vorrei subito andarmene: non ritrovo la sintonia nei passi, l’ascolto reciproco. Il ballerino mi abbraccia distrattamente. Guarda i suoi piedi. Sembra non vedermi, non sentirmi. Si ostina a farmi fare cose che il mio corpo non vuol seguire. Ma resisto solo per educazione, tentando di non far trapelare l’eccessivo fastidio per quella tanda condivisa con un compagno che sembra non capire che a ballare siamo in due. Finita la tanda mi vado a sedere al tavolo e a salutare un’amica che non incontro da anni. Meraviglia del tango: nelle milonghe capita di rincontrare persone che proprio non ti aspetti di incontrare! Mentre io e lei parliamo, una di fronte all’altra, a sorpresa una mano maschile si appoggia sul tavolo. I miei occhi vanno su quella mano. Risalgono il lungo braccio in direzione del volto della persona che si è intromessa tra me e la mia amica: “il fenomeno” è in piedi davanti a me. Ha la testa leggermente reclinata verso la mia. Sorride e tiene la sua mano sinistra aperta per invitarmi a ballare.

“Il fenomeno”. L’ho notato sin dalle mie prime serate in milonga. L’ho notato subito per il suo stile energico e così sopra le righe. Chi non l’ha notato? Mi hanno detto che non balla da molto tempo. Anzi, da pochissimo. Per questo l’ho soprannominato “il fenomeno”. Ogni volta che mi capita di guardarlo ballare rimango estasiata. Mette passione anche nello sguardo, nelle espressioni del volto. E la cosa entusiasmante è che riesce a trasmettere tutto questo alla partner, coinvolgendola. Una volta, mentre lo osservavo ballare, un mio amico mi ha chiesto: “E se t’invitasse a ballare? Se ti dovesse chiedere: Balliamo?” Senza pensarci su ho risposto al mio amico: “Gli direi: sì, nell’agosto del 2011… ma anche nell’agosto 2012! … ora non mi sentirei affatto pronta.” Il mio amico ha tentato di farmi capire che i bravi tanghéri sanno far ballare bene le donne. E lo so anche io. Quante volte, a noi donne, ci è capitato di ballare con esperti tanghéri, soprattutto con i più “anziani”, e di scoprire di essere in grado di fare cose che non ci saremmo mai immaginate di poter fare? Ebbene, “il fenomeno” era diventato il tormentone ironico del nostro piccolo gruppo di tanghéri. Ogni volta che usciva fuori l’argomento “il fenomeno”, il tutto si concludeva con la mia frase: “Agosto 2011”.

Ebbene, “il fenomeno” è di fronte a me, tiene la testa leggermente reclinata verso la mia e sorride come se tenere quella sua mano sinistra che mi invita a ballare sia la cosa più naturale del mondo. Dunque: che fare? Declinare l’invito rischiando che si offenda e che non mi inviti mai più a ballare? O accettare andando incontro al rischio di non riuscire a stargli dietro? Lui è lì che aspetta. Io guardo la mia amica. La mia amica mi guarda e mi dice: “Vai!”. Il mio amico – sempre il mio amico che assiste a tutte le situazioni più assurde che mi capitano in milonga!– ha visto tutta la scena e mi guarda in cagnesco, come a dire: “Non fare la stupida: accetta!”. Io so solo che mi alzo in piedi accettando l’invito e pensando: “In fondo cosa potrà mai accadermi?”. E, mentre penso questo, farfuglio qualcosa del tipo: “Doveva essere non prima dell’agosto 2011…ma anche agosto 2012!”. “Il fenomeno” non capisce cosa ho detto e io non faccio in tempo a spiegarglielo che mi ritrovo nell’abbraccio. Il cuore corre perché tutto ciò è inaspettato. Cerco di calmarmi e mi ripeto: “Smettila di agitarti: altrimenti non ti godi il momento!”. Il cuore batte forte al ritmo dei nostri passi. Lì capisco il significato profondo delle parole di Pedro Vargas. Sto ballando al ritmo che più si avvicina al compas del mio corazon. E se così non fosse, significa che sto per avere un infarto! Ma – penso alla fine del primo tango e nell’attesa del secondo – l’infarto c’è se il cuore cessa di battere. E io, invece, posso sentirlo forte e chiaro: sono viva!

La tensione del primo tango inizia a sciogliersi. Fino a quando, tra i nostri passi divertiti, scompare del tutto. Già. Perché per la prima volta mi sto veramente divertendo. I nostri piedi s’inseguono. E scopro che la passione può annidarsi anche nel divertimento. Un appassionato divertimento. L’orchestra dà il via al terzo tango: “La mariposa” di Osvaldo Pugliese. E, di nuovo, l’abbraccio. Un lungo respiro per ascoltarsi e, poi, via. Si riparte. Quando a un tratto “il fenomeno” si ferma. Il suo braccio destro scivola via dalla mia schiena per andare ad afferrare un cappello a cilindro nero posato su un tavolo al bordo della sala. “Il fenomeno” indossa il cappello a cilindro. Già: è proprio un cappello a cilindro nero! Io penso che tutto ciò sia surreale ma incredibilmente ironico. Così come la vita, se presa per il verso giusto e con la sana dose di coraggio. Il tango di Pugliese sta per volgere al termine. Un ultimo gancio: le nostre gambe rimangono tese fino all’ultima nota. Ancora qualche attimo fermi, avvolti nel silenzio. Per questa sera non voglio più ballare: è stato un tango perfetto. E non voglio contaminare il sorriso tornato sul mio volto.

Chissà, forse non ballerò mai più insieme a “il fenomeno”. O forse sì: perché quando “da dentro” si percepisce il divertimento vitale non c’è neanche bisogno di comunicarselo a parole. Basta un semplice sorriso. Vado, dunque, a dormire. E ora lo so che, con un pizzico di coraggio, ci si può svincolare da un garbuglio di pensieri e timori che ci fanno sentire intrappolati per lanciarsi, invece, nel vuoto. E riscoprirsi una fantastica farfalla.

Una fantastica farfalla che, a sorpresa, si diverte volteggiando attorno a un curioso cappello a cilindro!

La Luchadora

nota: tanghéri - leggi milongueros. Ndr


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Ott
01
2010
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I diari della Luchadora #2

LA MIRADA

La prima volta che mi sono affacciata in una milonga ho strisciato con il corpo sulle pareti della sala per non creare intralcio alle coppie che stavano ballando nella sala. Sono sgattaiolata fino al tavolino a cui erano seduti anche i miei amici e, a bassa voce, ho scambiato qualche chiacchiera di circostanza con loro.

“È la tua prima volta?” ricordo che qualcuno mi ha chiesto. Sì, era la mia prima volta. Non sapevo nulla delle milonghe tranne che fossero luoghi dove le persone si incontrano per ballare il tango. Dopo qualche lezione avevo deciso di accettare quell’invito. Ero curiosa di scoprire, respirare, “il mondo della milonga”.

Dopo pochi minuti che ero seduta al tavolino con i miei amici vedo sul lato opposto della sala un tipo che mi fissa. Distolgo subito lo sguardo pensando: Chissà: eppure non mi sembra di conoscerlo. Passano pochi secondi ed ecco che la mia curiosità mi spinge a volgere lo sguardo verso quello sconosciuto: era ancora lì che mi guardava. Ma cosa vorrà mai da me? ho pensato. Gli sorrido. Ma solo per educazione. L’avrò conosciuto chissà dove! e mi rimetto a chiacchierare con i miei amici. Pochi minuti dopo con la coda dell’occhio vedo che il tizio in questione cammina lentamente, ma con passo deciso, nella mia direzione. Non starà venendo qui. Sì, sta venendo qui. Ah! Ho capito: sarà un amico dei miei amici! E quando è quasi di fronte a me, con l’occhio languido, reclina un po’ il capo verso la sua spalla destra e di colpo mi fa cenno di seguirlo.

“Ma questo ora che vuole?” esclamo io ad alta voce, cercando l’approvazione negli occhi dei miei amici. Il tizio in questione non si ferma un secondo di più. Imbarazzato, vira velocemente a destra e prosegue nella sua camminata facendo il vago. Dal portamento della sua ritirata si direbbe che sembra quasi sperare che nessuno abbia visto la scena. Invece, uno dei miei amici, seduto al tavolino con me, ha visto tutto e allora gli dico: “Roba da matti! Cosa voleva quello?”. Il mio amico scoppia a ridere. Non riesce a parlare per quanto sta ridendo. Finalmente, asciugandosi le lacrime agli occhi, risponde: “Era una mirada!”

La mirada. Come si riconosce una mirada? Come si fa? Quando si fa? E, soprattutto, chi la può fare? Solo gli uomini o anche le donne? Dopo diversi mesi da quella prima mirada, e dopo tante milonghe in cui sono entrata, ancora tento di imparare a riconoscere una mirada. E non è facile: soprattutto se sei seduta accanto a tante altre donne. Soprattutto se, come qualche mia amica, sei miope e non metti gli occhiali per sembrare più attraente!

B. ha iniziato a ballare il tango da pochi mesi e anche lei è già una “tango-addicted”. È una ragazza all’apparenza cinica e un po’ sfrontata. Ma forse queste sono solo maschere usate per nascondere bene la sua timidezza. Quando ho chiesto a B. come fa a riconoscere una bella mirada mi sono sentita rispondere: “E chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ed è stato a quel punto che B. mi ha voluto raccontare la mirada più bella che le sia mai capitata.

“Una mirada reciproca durata un’intera serata. È successo questa estate. A inizio agosto. Faceva caldo. E noi tangheri eravamo in una bella piazza di Roma a ballare. La serata milonguera era appena iniziata. Ricordo l’incrocio dei miei occhi con gli occhi di uno sconosciuto: era in piedi all’altro capo della piazza. Ricordo i nostri sguardi furtivi anche mentre lui ballava con altre donne e io con altri uomini. Eravamo abbracciati ad altre persone, eppure, i nostri occhi continuavano a sfiorarsi. Per tutta la sera. Ricordo il dolce dolore per l’attesa dell’invito. Ricordo che più di una volta, tra una tanda e l’altra, da lontano, lui guardava me, io guardavo lui. Divertiti, distoglievamo lo sguardo contemporaneamente. Fino a quando…“Questa, ragazzi, è l’ultima tanda. Chiudiamo con una selezione tutta italiana!” ha annunciato il musicalizador. Lo sconosciuto tanghero è venuto nella mia direzione. Un’ultima lunga mirada. Un sorriso accompagnato dalla gentile offerta del suo abbraccio. Ricordo la naturalezza con cui ho appoggiato la mia mano destra sulla sua mano sinistra. Un primo tango per conoscerci. Un secondo tango per emozionarci. Un terzo per salutarci Con una rosa di Capossela. E a sorpresa, sulle note di Mannarino, il musicalizador ci ha fatti salutare con un ultimo sorriso danzante. Che strano provare forti emozioni con un perfetto sconosciuto di cui non si sa neanche il suono della voce. Quel tanghero l’ho rivisto altre volte. Non ci ho mai parlato. Spesso ci scambiamo brevi cenni di saluto. Evito il suo sguardo. E, a dir la verità, spero di non ballare mai più con lui. Sarò pazza, ma è troppo forte la paura di sbiadire un bel ricordo durato lo spazio di quattro brani musicali”.

Quando B. mi ha raccontato questa storia ho certamente capito una cosa: che ancora non ho ben capito cosa sia “una bella mirada”! Perché, in fondo, “chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ma forse B. mi ha fatto capire anche qualche altra cosa. Che potrà anche esserci un’etichetta da seguire, ma che uscire dai binari a volte può essere più emozionante. E che forse sarà proprio il tango a scaldarci dalla fredda quotidianità metropolitana. A farci riappropriare della bellezza di uno sguardo improvviso e inaspettato.

La Luchadora

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