Lo hanno inventato gli emigranti
Di * Mempo Giardinelli
Comincio dicendo che, parlando de tango ,chi legge pensa ciò che pensa tutto
il mondo .L’Argentina è in fondo un paese ridotto a una sola città : Buenos
Aires.
Malgrado sia la seconda grande nazione dell’America Latina, dopo il Brasile,
in tanti anni viene guardata come una enorme città. E il suo abitante, il
porteño, sembra il modello unico dell’argentino…
L’immagine cosmopolita e romantica che ognuno ha di Buenos Aires, non si
forma negli anni della fondazione di Pedro di Mendoza, 1536, né di Juan de
Garay,1580,inventa un’altra Buenos Aires. Il prestigio se delinea a partire dal
1880
Quando la consacrano capitale federale. 120 anni dopo questa città
riconosciuta capitale non solo politica, ma economica e culturale di tutto il
paese , è stata raccontata poeticizzata con ogni tipo di estetica narrativa e
lirica. Ma nessuno l’ha cantata meglio dei suoi poeti popolari: i tanghero.
Sono i tanghero a trasformare Buenos Aires nella prima città latino americana
con una propria estetica dalla quale nasce ciò che per caso e per prima
letteratura urbana dell’America…
Il "compare" che tanto piaceva a Borges negli anni 30, il guappo e il
malavitoso, sono prodotti da un fervore meticcio: consacra al proprio ritmo, il
tango una delle poche musiche popolari del mondo (forse la sola) che non nasca
nelle campagne, né venga tramandata degli anziani che lavoravano la terra; non è
stata musica di schiavi, né l’ha inventata la stanchezza di chi raccoglie caffè
o cotone non nasce in montagna o in riva al mare, non deriva dal dolore dello
sfruttamento e dell’ingiustizia. la verità è che nessuno sa esattamente qual è
la vera origine.
Il tango nasce in una città che rapidamente ingigantiva grazie a stranieri
con frenesia di nazionalisti, come ironizza Ernesto Sabato. Italiani, spagnoli,
ebrei assieme a provinciali e neri sono stati i veri fondatori della città che
non era loro ma che l’hanno fatta loro con entusiasmo della vita. Il tango è
sempre stato urbano , i suoi poeti e narratori parlano di Buenos Aires come
scenario di amore i disamore, cielo e inferno, muri e balconi, vicoli e tetti il
coraggio nei saloni, la paura nell’ombra; postriboli e disoccupazione, la madre
santa e la donna infedele; prostituzione, vino, cocaina. Ecco i temi ricorrenti
dei primi "tangos" che gli storici sono d’accordo nel collocare tra 1895 e il
1905.
Buenos Aires ha accolto sei milioni di stranieri tra il 1870 e il 1930,
venivano da decine de paesi di tutti i continenti. La città li ha subito
assimilati, mentre la oligarchia si richiudeva, spaventata, nelle grande
proprietà: "estancias". Nel 1930 più della metà della popolazione non parlava
nel leggeva lo spagnolo. Il tango veniva sopportato dalla aristocrazia e Carlos
Gardel (un francese per caso uruguayano) si imponeva come l’espressione più
completa di quel tipo umano diffuso, imprecisabile e tante volte inutile e
vanitoso che è il porteño. Il tango diventa simbolo cittadino di Buenos Aires
fidanzata del "Rio della Plata" (nome del grande fiume) che poeticamente cambia
nome e diventa "La Reina del Plata", regina del fiume.
Dopo il 1930 la presenza del tango affiora nella letteratura argentina, e
dopo la seconda guerra mondiale, col peronismo e l’industrializzazione
cominciata nel ’46 si assiste a un cambio rilevante gli immigranti che gonfiano
Buenos Aires arrivano dalle province e nell’insicurezza dell’urbanizzazione si
aggrappano al tango facendone la propria musica. Oggi si balla tango soprattutto
nei circoli di quartiere tessuto di provinciali, classe bassa e media. Luoghi
dove il kitsch viene celebrato ogni notte, ambienti che non somigliano alle luce
sofisticate dei club delle classi medio- alte che sognano la Europa o Miami, e
tantomeno agli spettacoli di tango for-export dedicati ai turisti. Il tango
autenticamente popolare e vivo nei sobborghi non solo di Buenos Aires ma di
tutti i centri urbani argentini: non vi è città di provincia dove non esistano
saloni di tango..
Va analizzato da tre punti di vista. La musica e i suoi interpreti; testo e
cantanti e, al terzo posto il ballo, che è forse l’ingrediente che più ha
contributo a diffonderlo nel mondo.
Musicalmente il tango è un paradosso. Lo strumento mitico, il bandoneòn,
(specie di fisarmonica un tempo usata tradizionalmente, quasi come organo, nelle
funzione religiose tedesche ) è stato l’ultimo ad arrivare. Fino a quel momento
si suonava con chitarra, violino, flauto. Per paradosso, il primo grande maestro
di bandòneon celebrato a Buenos Aires, è stato un brasiliano di origine tedesca:
Arthur Herman Bernstein. Ma il primo idolo popolare era francese di Perpignano:
ha cambiato nome e si è fatto chiamare Eduardo Arolas.
In quanto ai testi, si riconoscono due grandi momenti. All’inizio erano
brevi, di colore locale Versi per balli in posti dove ci se diverte. Ma negli
anni 40, con Enrique Santos Discepolo, i versi diventano violenti, espressione
della metafisica esistenziale, con critiche al costume nel linguaggio del
"lunfardo", maschera da "compadrito" dei borghi popolari. Solo più tardi il
tango se amareggia nell’amore infelice e vita ingrata.
In quanto al ballo, da principio era un ballo de neri, saltavano solo gli
uomini e i movimenti erano rozzi e volgari. Ecco perché il tango era escluso dai
saloni perbene. Ma col tempo, anni 30 e 40 si è trasformato uno spazio
nell’anima della gente grazie a la radio, e ballare il tango è diventata
abitudine popolare nei carnevali o nelle feste di famiglia.
Vero poeta dell’anticipazione, Enrique Santos Discepolo, esprime ancora oggi
l’apprensione per la mancanza di lavoro o lavoro senza futuro; fatiche che non
rendono; ingiustizia che si ribella, l’impunità dei più ricchi e la sensazione
che tutte le strade sono sbarrate e che bisogna aprirsi il passo a forza; vivere
affrontando l’indifferenza del mondo, sordo e muto. Comincia la ribellione
contro i nemici dalle vuote promesse. Questo spiega l’amore per il tango dei
ragazzi di oggi. Anche senza lavoro e senza futuro. Discepolo (lo sanno tutti)
definiva il tango un pensiero triste che si balla. Non so si sonno d’accordo. E
vero che l’amore regala gioie e disastri, e quando si resta soli cominciano a
morire. Ma appena vedo un tango ben ballato, penso che gli argentini si
concentrano nel gioco dei passi per dimenticare le tristezze quotidiane, ecco
perché pensare al tango come tristezza non mi sembra giusto.
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