Ott
29
2010
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La vita è una milonga e io non tango da sola

I diari della Luchadora #5

A volte capita che da un abbraccio con un perfetto sconosciuto si origini un fiume di emozioni e sensazioni inaspettate. A volte, invece, capita che più si conosce una persona più l’abbraccio con questa persona non genera grandi emozioni o, addirittura, genera fastidio. Ma perché? Quanto la conoscenza dell’altro condiziona l’intensità di un abbraccio? E in che modo l’abbraccio può essere condizionato?

La Luchadora torna a scrivere. E stavolta lo fa dopo aver inaspettatamente spaccato in due la comunità tanghéra romana. Scrivo “tanghéra” e non “tanguera”. E lo faccio con cognizione di causa perché sono una purista della lingua italiana. In post precedenti a volte avevo fatto uso della “h”, altre volte della “u”. Voglio chiarire l’equivoco: da oggi farò uso della “h”, a meno ché non si tratti di una parola in argentino. Ma in quel caso la leggerete in corsivo. Dicevo… torno a scrivere dopo aver sollevato, senza volerlo, un polverone nella comunità tanghéra romana. Fortunatamente lo strumento del blog o dei social media consente di interloquire in tempo reale con i potenziali lettori. Ma non consente, come penso sia avvenuto in questo caso, di chiarire. Dopo l’ultimo post ho ricevuto molti ringraziamenti soprattutto da parte di molte donne, ma anche di molti uomini (per lo più “giovani”, il che ci offre speranza!) maggiormente sensibili e che sono stati capaci di cogliere il messaggio che volevo comunicare. Se la vita è una milonga, non si può certamente pretendere di essere accettati da tutti. Ed è per questo che ho ricevuto anche molti insulti da chi si professa “gentiluomo” o “gentildonna”. È stato addirittura “simpatico”, per non dire “surreale”, venire a sapere che una donna ha scritto, riferendosi a me: “Quando je menamo?”. Si è addirittura ventilata l’ipotesi che io sia un’organizzatrice di serate milonghere in incognita, e che mi nasconda dietro a uno pseudonimo per codardia. Mi spiace per la povertà culturale di questi ipotetici lettori che evidentemente non sanno quanta distanza copre l’anonimato puro da un semplice pseudonimo che prima o poi rivelerà la persona che si cela dietro al nome “la Luchadora”. Come ho già risposto a qualcuno di questi lettori, mi spiace che le mie parole non possano essere comprese da tutti. Ma questi sono diari. E i diari, si sa, si basano su sensazioni e osservazioni personali. In quanto sensazioni sono personali e, dunque, non devono essere oggettive e necessariamente condivise da tutti. Ma soggettive. Una persona può decidere di rispecchiarsi nelle parole di un’altra o meno. Però chiedo rispetto. Lo pretendo.

Questa volta voglio raccontarvi qualcosa a proposito dell’abbraccio. Non parlerò dell’abbraccio sociale dei “tàngheri”. Sì, avete letto bene: “i tàngheri”. Perché, la scorsa settimana, quell’inesistente abbraccio sociale mi aveva quasi fatto venir voglia di pensare: “Ma chi me la fa fare non solo a condividere pensieri e parole ma, addirittura, chi me la fa fare a condividere l’abbraccio con persone che magari spendono cattiverie nei miei riguardi e poi non si chiedono se – questa sì che è divertente, preparatevi! – per caso loro ci abbiano mai ballato con la Luchadora! E magari gli è anche piaciuto ballarci insieme! Eh, già…

La cosa sorprendente è che il profondo abbraccio individuale con un tanghéro, una volta svelata la sua identità di “tànghero” capace di far “branco” con tanti altri “tàngheri”, svanisce nel nulla. E allora? Allora forse ha ragione chi sostiene che nel tango non bisogna parlare ma solo ballare? No, non voglio cadere in questa cinica visione della milonga. Perché se la vita è una milonga e se il tango mi ha aiutata a riscoprire il calore della vita attraverso l’incontro di due anime, io di certo non mi farò scoraggiare dal mancato abbraccio sociale dei “tàngheri”.

Sono tornata in una milonga con i miei amici. E pensare che neanche i miei amici più intimi immaginano chi si celi dietro alla Luchadora! Eravamo in milonga. Mi vedevano un po’ restia nel ballare. Io lo sapevo cosa non andasse in me: sapevo di temere che la delusione dell’abbraccio sociale dovuto alle polemiche relative all’ultimo post, per me, si potesse tradurre nella delusione dell’abbraccio individuale. Dopo aver accettato i primi inviti a ballare ho scoperto che ci si può riappropriare di una sorta di bellezza dell’abbraccio anche con un “tànghero-tanghéro”. Ma che questa, d’ora in poi, sarà una bellezza superficiale, quasi tecnica. Puramente estetica. Non certamente profonda, sentita, vissuta. Quando, invece, ho abbracciato chi nei giorni scorsi ha inconsapevolmente preso cura del mio asse durante l’avvitamento sociale che quel mio post ha creato all’interno della comunità tanghéra romana, ho sentito l’abbraccio vero. E, allora, sì, ne ho avuto la conferma: la vita è una milonga. Da una discussione se ne può uscire più uniti oppure ci si può ritrovare uno di fronte all’altra, sapendo e sentendo di non esser fatti per condurre insieme neanche un passo. Perché non c’è armonia, non c’è ritmo, non c’è ascolto.

Qualche giorno dopo, in un’altra milonga mi è capitato di ritrovarmi nell’abbraccio con un perfetto sconosciuto. Una mirada e via. Ecco la sua mano sinistra pronta ad accogliere la mia mano destra. Non la stringeva. Eppure c’era. Pochi attimi dopo ho appoggiato il mio braccio sinistro sulla sua schiena. Un lungo respiro per ascoltare il battito dell’altro. I primi passi. Lui ascoltava me. Io ascoltavo lui. Non parlavamo, eppure stavamo comunicando. Respiravamo l’intensità delle pause attraverso i nostri sguardi. Eravamo entrambi presenti senza imporci. Mi sono chiesta come sia possibile un’intima comunicazione a due, senza pronunciare una singola parola. Forse perché in quell’intimo rapporto a due, in cui ci si dimentica di essere circondati da tanti altri microcosmi, non ci sono sovrastrutture dettate da un branco d’appartenenza? Forse perché il tango è anzitutto fiducia? Sì, il tango mi ha fatto l’ennesimo regalo inaspettato. Mi ha regalato la speranza. La speranza di potermi fidare dell’abbraccio con un perfetto sconosciuto.

La vita è una milonga e il tango ci regala la speranza di poterci fidare dell’abbraccio di uno sconosciuto. È un regalo prezioso. Ed è per questo che dobbiamo prendercene cura. Ed è per questo che, superata la tempesta, “io lo so che non tango da sola”.

La Luchadora


Written by Luchadora in: Varie | Tag:, ,
Lug
27
2009
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La milonga

A settembre tratteremo la milonga, il ritmo del tango, l’eleganza, l’armonia del corpo.
Ammiriamoli racchiusi in questo bel video:

Javier Rodriguez e Geraldine Rojas -Tangomania (Bologna 2002)
“La Espuela” de Los Reyes Del Tango.

E qui nel tango sempre Geraldine da giovanissima:

Geraldine Rojas y Andrés Amarilla: Mala Junta - Octubre 1993


Written by admin in: Lezioni, Musica | Tag:,
Apr
16
2009
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Tango Milonguero o Fantasia ?

Elogio della milonga di Lidia Ferrari

Quelle che seguono sono alcune riflessioni sul ballo del tango.
Costituiscono un’analisi di qualcosa che, paradossalmente, contrasta con l’analisi. Il tango, come tutti i balli, è un’esperienza unica che racchiude in sé l’effimero del presente, la passione unica del corpo e il godimento intimo di ogni persona. Per questa ragione la sua analisi implica spogliarlo di quello che lo fa essere quello che é. Ma, eredi come siamo di una logica cartesiana che si è fatta carne e che separa la mente dal corpo, la maggior parte delle volte pensiamo senza tener conto del corpo e senza metterlo in gioco, così come altre volte, meno frequenti, non siamo che corpo che quasi decapita la mente. Nel cominciare una riflessione sul tango, non posso evitare di parlarne in prima persona, anche se arriverò inevitabilmente a considerazioni più generali. Il problema sta nel fatto che è in gioco il mio corpo e la passione per il ballo, e quindi qualcosa di personale e unico. Per questo scrivendo su alcune ragioni del ballo, proverò ad avvicinarmi alle passioni che lo spiegano.

TANGO: MILONGUERO O FANTASIA? In generale chi balla il tango milonguero lo fa per scelta e per necessità.

Può sembrare difficile l’unione di queste due opzioni. Si potrebbe dire che, quando si parla di necessità, non esiste possibilità di scelta. Però, citando Nietzsche, qualche volta “posso essere davvero me stesso quando liberamente decido della mia vita, pur necessariamente predestinata”. Vediamo dunque cosa intendo per necessità di ballare il tango milonguero e apparirà naturalmente chiara la ragione della scelta. Quando la passione è ballare il tango, ballarlo nelle Milongas, per goderlo in quanto tale, perché ogni abbraccio e ogni tango ballato ci porti la felicità dell’incontro singolare con la nostra compagna o il nostro compagno di quel momento, non possiamo non andare alla Milonga e offrirci questa possibilità.

Questo avviene perché è in gioco la passione del ballo in quanto tale, quella passione che ci porta a godere di questo unico o di questi unici tanghi che nascono in maniera meravigliosa, in modo occasionale e furtivo, con un imprevisto partner. Chi sogna sia questa la magia che può realizzarsi ogni volta che va a ballare, la magia dell’incontro e non la perfezione di una coreografia preparata, non può avere altro posto nell’anima se non per il tango milonguero. Il problema, a mio modo di vedere, sta nel fatto che l’espressione milonguero designa, apparentemente, uno stile e un modo di ballare tecnicamente differenti. Sebbene sia sicuro che lo stile e la tecnica possono essere differenti per chi deve ballare per uno spettacolo (come non potrebbe esserlo?), d’altro canto ciò che è in gioco è la differenza nel desiderio, nella intenzione, nel luogo e nei codici in cui si trova collocato chi va a ballare in una milonga. Sono convinta che la struttura del tango come ballo è la stessa con qualsiasi stile e qualsiasi tecnica, per lo meno quando si parla di tango. Ballare in una milonga implica tenere conto della seduzione degli sguardi e dell’avvicinarsi fra persone che si desiderano per l’aspetto o per il modo di ballare; implica assumere determinati codici di convivenza:

Ballare nella sala in senso antiorario perché ci sia un ordine: l’ordine necessario perché chi balla lo possa fare, senza dover essere più attento a non scontrarsi che a ballare. I codici dell’invito: con un cenno della testa, con lo sguardo, con un gesto o con l’invito verbale diretto (questo ultimo modo è fortemente criticato dai milongueri più tradizionali). Il guardare e l’essere guardati, come forma di relazione fra tutti i ballerini: sguardi di approvazione o di rifiuto, timidi o sospettosi, seducenti o odiosi, di solidarietà o competitivi. Gli intervalli (cortinas) fra gruppi omogenei (tandas) di tango, vals e milonghe, che permettono di cambiare il partner e alleviano la fatica.

Questi codici e altri che dipendono dal tipo di milonga e dall’atmosfera che si può creare, ci collocano in una organizzazione e ci fanno accettare regole che parrebbero limitarci, ma in realtà sono quelle che ci permettono, in quella situazione, di godere del ballo e, nella occasione propizia, di ballare il miglior tango della serata o della vita.

La necessità di assumere i codici della milonga c’è anche nelle nuove milongas, frequentate da persone molto giovani, che si stanno aprendo a Buenos Aires, perché necessariamente anche qui si devono trovare codici di interazione che, salvo piccole trasformazioni, conservano molto dei codici delle milongas tradizionali. Può accadere che una coppia balli, occasionalmente, sola in casa: ma non potrà mai raggiungere l’incanto della milonga, che ha in sé tutta quella particolare ritualità del luogo, che fa sì che l’incontro fra uomo e donna, con il tango come protagonista, si realizzi. Finora abbiamo descritto la milonga come spazio fisico. Ma perché, ci domandiamo, è necessario ballare il tango milonguero? In questo spazio, dove è in gioco non solo lo scambio col nostro partner, ma dove siamo intimamente legati a tutti quelli che con noi stanno ballando, è ovvio che i codici relativi comportano anche un particolare modo di ballare. Chi balla spostandosi qua e là in maniera disordinata, facendo ganchos turbolenti o boleos che colpiscono le coppie vicine e si dimena vertiginosamente per la pista, prima o poi non solo si scontrerà con una coppia vicina, ma qualche volta, senza volerlo, anche con un pugno o un arresto della sua vittima occasionale. Questa visione del ballo già ci mostra una ragione necessaria perché il ballo sia più tranquillo, più raccolto, meno rivolto solo su se stesso e ci fa anche capire il modo di abbracciare del milonguero: la necessità di sostenere la sua compagna, e di fare giri impeccabili, consapevole di non poter retrocedere molto e che la sensibilità per trasmettere il suo modo di portare sta in tutto il corpo. Tutto questo dà al modo di girare, ai tipi di passo, al modo di abbracciare, al modo di collocarsi nello spazio della milonga, il nome di tango milonguero o de salon.

Chi ama ballare nella milonga e non muore per non essere su un palcoscenico, chi è sufficientemente umile per godere dentro di sé del proprio tango e non è smanioso per l’applauso degli altri; chi gioisce nel creare un ballo e non tanto nel dimostrare la propria destrezza, arriverà naturalmente, quasi senza saperlo, alla conclusione che il suo è il tango milonguero. Naturalmente uno stile non è in contraddizione con l’altro, sempre che il ballerino abbia ben presente che i suoi desideri, il motivo per cui balla, il posto e i codici sono differenti nei due stili. Sono quindi il desiderio, l’intenzione, lo spazio e i codici a determinare la differenza. Nello spazio chiamato milonga, e non nelle practicas, non c’è altra possibilità che ballare il tango milonguero: quello più stretto, dove l’abbraccio fra uomo e donna è più forte, dove non c’è spazio per coreografie prestabilite e dove la emozione dell’incontro (non solo per quanto riguarda il modo di abbracciare ma anche l’insieme del modo di ballare) può produrre un piacere irripetibile.

La situazione nel tango denominato fantasia, quello che si prepara per presentare in shows e spettacoli, è totalmente differente. Una coppia già formata, o che si costituisce proprio per esibirsi, presuppone una pre-visione, il sapere a priori quello che si vuole e quello che si va a fare, la pianificazione e la costruzione di una coreografia da mostrare ai potenziali spettatori. In ciò già si percepisce una delle differenze più importanti: da una parte una esecuzione pianificata, dall’altra improvvisazione e spontaneità. Che tipo di emozione può sorgere da questo tipo di ballo?

Anche qui c’è una emozione, quella che viene, tra l’altro, dalla minore o maggiore perfezione della qualità con cui si realizza la danza coreografata e, naturalmente, l’approvazione e il riconoscimento degli spettatori.

Queste sono soddisfazioni che, oltre alla retribuzione economica, sono tipiche del tango professionale. Il tango milonguero, al contrario, si balla solo per affezione e per il proprio intimo piacere. La sostanza nel tango milonguero o de salon sta nella necessità di goderlo nella propria intimità, crearlo e viverlo ogni volta che si balla, in ogni istante, per se stesso. Il tango shows o fantasia è ballato per essere esibito, per far sì che altri godano vedendo uno spettacolo.
Sebbene lo sguardo sia fondamentale in ambedue i casi, perché anche nella milonga lo sguardo e i gesti di approvazione o rifiuto degli altri hanno molta importanza, in definitiva però quello che il ballerino milonguero desidera, è sentire il tango che balla nella propria intimità. Sulla scena la cosa più importante è che il ballo si veda al meglio, e se non lo si gusta non è fondamentale: dopotutto si sta lavorando.

TANGO: TECNICA O STILE? I due stili, milonguero e fantasia, non sono radicalmente differenti, perché la struttura del ballo è in sostanza sempre quella del tango. In questo senso ci interessa affermare che, anche se lo stile e la tecnica possono fare delle differenze, sempre che si parli di tango, il ballo conserverà la sua struttura. Si discute se il tango debba essere quasi tutto stile o quasi tutta tecnica. Penso che sia lo stile che la tecnica si basano su una struttura di ballo molto complessa. Nei decenni fra il 1930 e il 1950 tutti ballavano il tango, perché la gente era immersa nei codici popolari, dove questo ballo era passione e carne per ciascuna persona. Tuttavia, parlando con milongueri di quell’epoca, essi affermano che quelli che ballavano bene il tango, non erano molti. Tutti si muovevano al ritmo di quella musica, la coltivavano e sapevano ballarla.

Però erano pochi i bravi ballerini, voglio dire quelli che si sottomettevano alla struttura del ballo, la inventavano e la ricreavano. La complessità di cui parlavo è insita nella struttura stessa del ballo. Con questo non voglio dire che il tango sia difficile perché richiede l’apprendimento di molta tecnica, molti passi e figure.

Assolutamente no; quelli che passano il tempo imparando continuamente nuove figure, cercando di incorporarle senza nessun senso, non necessariamente ballano bene il tango. Mi riferisco invece alla forma dell’abbraccio fra uomo e donna nel ballo, alla complementarietà dei movimenti, allacciati e quasi ammanettati fra uomo e donna, i quali allo stesso tempo, devono conservare la loro differenza. Mi riferisco al compito dell’uomo di invadere il territorio della donna, pur conservando allo stesso tempo uno spazio comune, dove si crea e si improvvisa, continuamente guidati da regole rigide. Naturalmente questa complessità richiede una conoscenza della tecnica per poter ballare bene. Però la tecnica non consiste solamente in passi e figure.

Un ballerino milonguero che balla molto bene il tango, non solo possiede uno stile preciso, ma anche, dentro una camminata molto semplice, ha una tecnica di passi, giri, modo di appoggiare i piedi e di fermarsi, imprescindibili per poter concretizzare il suo stile. Per questo motivo, il tango milonguero non è semplice da trasmettere, perché oltre alla tecnica, bisogna mostrare che lo stile si appoggia sulla tecnica.

Un buon ballerino può anche non conoscere molte figure oppure non farle, ma avere una tecnica impeccabile e nonostante il suo ballo appaia molto semplice, resta comunque di un’alta complessità. Quante meno figure utilizza, tanto più deve ballare con una tecnica corretta, per poter mostrare la sua precisione. La tecnica è la logica pura (quasi matematica) che, sebbene il ballerino può non conoscere, consente di dominare la struttura del ballo, in cui sono inclusi, inevitabilmente, lo stile, la parada, la postura, la grazia. Un porteño della calle Corrientes dalla tipica camminata (quasi non ne esistono più) possiede le condizioni ideali per ballare il tango, a volte possiede anche uno stile, però questo non è sufficiente per fare di lui un ballerino di tango.

Lidia Ferrari

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Dic
23
2008
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Tango Estilo Salon, Milonguero, Nuevo, Orillero o Fantasia ?


Credit http://www.flickr.com/photos/rogimmi/2386957357/

Milano 1997 Tangoy. Osvaldo Roldan e Monica Fontana. http://www.flickr.com/photos/rogimmi/2386957357/


Indagine sullo stile Milonguero con una intervista esclusiva a Kely y Facundo Posadas, una coppia famosa del tango argentino che può raccontare, per averli vissuti, gli anni in cui si formarono molti degli stili che oggi balliamo.

Spesso si sente dire ” No io questo non lo so fare, sai ballo il tango miloguero….” oppure ancora prima di iniziare ” io ballo il tango milonguero….” come per mettere le mani avanti e scusarsi in anticipo.
Altre volte invece qualcuno chiede ” Cos’è il tango milonguero ? Sai un mio amico mi ha detto che balla quello stile lì……”

Io a queste persone spesso rispondo citando Alejandro Aquino:

“Beh…Se non sai ballare il tango ti rimane pur sempre il tango milonguero !”

Alejandro Aquino ballerino coreografo scelto insieme alla sua compagna da Osvaldo Pugliese nel 1989 per far parte della sua grande orchestra, in una intervista pubblicata su “Il Tango - sentimento e filosofia di vita” - di Elisabetta Murraca edito da Xenia Edizioni nei tascabili 2000 si pronuncia proprio così, (pag 98) come citato sopra, sul tango milonguero.

E ancora in un’altra intervista a Osvaldo Roldan (insegnate dello stile milonguero) leggiamo:”…questo stlie (il milonguero ndr) è abbordabile da qualsiasi tipo di persona, grassa o magra, alta o bassa, che abbia o meno problemi di ritmo….” (pag 101)

In altre parole un tango per chi non sa ballare il tango argentino, buono anche per chi ha problemi di ritmo e musicalità ? Un tango di serie B ?

In realtà il tango milonguero si dovrebbe chiamare più precisamente “del centro”.
Milonguero è un termine improprio, il milonguero è il ballerino che frequenta la milonga, e non è certo meno milonguero se balla il tango salon o un altro stile.

Grazie a dio nel tango argentino a differenza della salsa (portoricana o cubana) chi sa ballare tango lo sa ballare con tutti. Eppure sembra che i ballerini che seguono lo stile milonguero siano (insieme a quelli che seguono il tango nuevo) gli unici che si debbano giustificare per non sapere come fare questo o quest’altro.

Il tango del centro (o milonguero) ha un abbraccio molto stretto, ballando molto stretti non si possono fare molte cose con i piedi; gli ochos cortados per esempio nascono proprio perchè la donna non può allungare bene i fianchi, ed oltre a pochi altri passetti non si può fare altro.

Di solito il tango è molto più libero: nel tango si può fare di tutto, basta che sia guidato, segnalato, che si capisca e che non metta in difficoltà gli altri.

Una tra le teorie più accreditate vuole che il tango oggi detto milonguero nasca dopo gli anni 70 in centro, a Buenos Aires, nelle confiterias (luoghi di ritrovo simili a bar o rosticcerie, dove si può fare uno spuntino e anche ballare).

Nelle confiterias si recavano in pausa pranzo gli impiegati, uomini o donne, ma non necessariamente per ballare, bensì per fare conquiste, oggi diremmo a “rimorchiare donne”. Queste persone non erano interessate al ballo ma ad appoggiarsi ad una donna, stringerla e parlargli all’orecchio. Ed erano persone che, non essendo interessate al ballo, per la maggior parte non sapevano ballare.

Nacque quindi questa “moda” di ballare molto chiusi, stretti, un tango fatto di tanti piccoli passetti e qualche giro.

Si diffuse quindi piano piano questo modo di ballare, che ancora oggi alcuni non definiscono nemmeno uno stile ma appunto una moda, e che continua a creare così tanto disagio in chi lo apprende. Una cosa è certa chi balla in asse il tango salon non ha problemi a ballare anche molto “apilado” come nello stile milonguero. Quindi la questione si pone molto per i ballerini in stile milnguero quando si mettono in gioco con gli altri: da qui la famosa frase ” eh ! scusa sai io ballo il tango milonguero…”.

Ho visto molti insegnanti di stile milonguero che nel momento di esibirsi buttavano via il loro stile per sfoggiare un tango in asse, da salon, aperto, più libero che si trasformava poi nello stile coreografico o fantasia.
E si vedono spesso molti allievi di questi insegnanti delusi, quando poi durante una esibizione i loro maestri non propongono il tango che insegnano ma qualcos’altro.

Lo stile Milonguero si adatta bene a piste piccole, strette, dove c’è poco spazio, o appunto in tutte quelle situazioni dove si richiede di essere a stretto contatto.

Nella pratica da milonga è facile passare da uno stile all’altro per il milonguero vero, ovvero colui che sa ballare il tango argentino e usa lo spazio, l’abbraccio, i passi e il ritmo della musica per esprimersi come il sentimento e l’estro del momento gli suggeriscono.

Dunque ricapitoliamo Il tango argentino non è come la salsa, per cui chi balla la portoricana non si capisce con chi balla la cubana e così via.
Il tango argentino è uno solo, chi balla tango argentino lo balla con tutti.

Gli stili diversi nel tango argentino non precludono di ballare con altre persone, caratterizzano solo la quantità e il tipo di passi e movimenti che uno può fare.
Nello stesso tango si possono alternare vari stili, allargando o chiudendo l’abbraccio, facendo o non facendo alcuni passi o figure, si può passare dallo stile salòn a quello più fantasia, spazio permettendo, per tornare poi di nuovo apiladi.

Chi dice io ballo solo il tango milonguero o il tango nuevo e non è capace di eseguire i passi fondamentali del tango ha delle carenze tecniche molto forti.
Ricordo un esempio recente: ho conosciuto una ragazza che balla, dice lei, il tango milonguero da tre anni ma non sa fare gli ochos, se mi guidi, dice, io faccio tutto, si in effetti tutto male, senza criterio, senza eleganza e senza tecnica.

Un suggerimento: quando qualcuno vi chiede voi che stile ballate ? Rispondete:
“Io ballo il tango argentino, e tu che pezzo ti sei perso di questo ballo ?”

In una intervista rilasciata in esclusiva ascoltiamo la storia di come nasce lo stile milonguero.

Kely y Facundo Posadas - Madrid - Accademia delle Belle Arti - dicembre 2006
10° Encuentro de Tango con Los Grandes.

Los Chantas Cuatro Team


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Dic
06
2008
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Le trasformazioni nel modo di ballare il Tango argentino

Questo articolo, scritto da Lidia Ferrari, è apparso su “Buenos Aires Tango”, anno IV – numero 71 – Buenos Aires, Argentina.

Lidia Ferrari, argentina, è psicoanalista, ballerina e studiosa appassionata del tango.

La traduzione è di Giuseppe Blanco.


Per chi si avvicina al tango, o come spettatore o per imparare a ballare, è molto difficile avvertire le differenze di stile.

I gruppi di tango, il tempo (grande maestro!), l’esperienza, le ore passate a ballare in pista, i differenti luoghi di tango visitati, le persone con le quali si balla e i diversi insegnanti coi quali si apprende a ballare, vanno via via arricchendo la propria conoscenza. Con questa progressiva conoscenza del mondo del tango si affina la capacità di osservare e si comincia ad apprezzare differenze e variazioni che prima non si notavano: gradualmente si comincia a riconoscere una diversità negli stili.

Oggi c’è una grande discussione sugli stili del tango. Il problema delle discussioni fanatiche sugli stili di tango sta nel fatto che a volte sono proprio le persone con meno esperienza a prendere partito in maniera superficiale.

La cosa certa è che il tema non è di vitale importanza per chi è appena agli inizi.

Non si deve fare confusione fra gli stili del tango, intesi come quei modi di ballare il tango che si sono man mano stabilizzati, con lo stile personale che ognuno acquisisce nel ballo.

Il proprio stile personale non è influenzato solamente dal maestro con cui si è imparato. I maestri indicano un cammino, ma esistono altre variabili che influenzano il proprio modo di ballare: personalità, abilità, senso musicale, attitudini, caratteristiche fisiche, sensibilità, gusti, affinità, cultura estetica; questi sono gli aspetti che plasmano non solo lo stile di tango che si balla, ma anche il proprio stile come persona.

E’ difficile raggiungere un proprio stile personale senza essere passati attraverso una esperienza ricca di pratica, di apprendimento, e di frequentazione di milonghe. Una cosa è imitare lo stile di un maestro, altra cosa è acquisire un proprio stile personale. Ma lo stile personale si costruisce col tempo e con la esperienza. E’ come la costruzione di una casa: dobbiamo cominciare dalle fondamenta. Gli abbellimenti, le decorazioni verranno in seguito. Nessuno può collocare i quadri prima di aver costruito le pareti. Per questo sono importanti buone e solide fondamenta.

Dunque, quando si discute di stili o modi codificati di ballare il tango (milonguero, de salon, fantasia, canyengue, nuevo, etc.) si tende a considerarli come qualcosa di statico, come se da quando si inventò il tango, fossero già stati chiaramente definiti. Così come ogni ballerino costruisce il suo modo di ballare con gli anni, allo stesso modo gli stili che si sono andati codificando non sono stili creati e imbalsamati una volta per sempre. Sono il frutto di laboriose costruzioni di arte popolare collettiva, che si trasformano nel tempo.

In un’epoca in cui prevale il tango da spettacolo, i grandi maestri possono venire da lì. Poi può arrivare il tempo in cui cominciano a fiorire le milonghe e alcuni maestri nascono in questi spazi. A loro volta questi differenti stili si mescolano, si modificano, crescono, si consolidano e allora quello che crediamo essere uno stile autentico dalle origini, in realtà non è che una trasformazione nel tempo e nelle persone, il che non lo fa meno vero.

Sarebbe un bene che le polemiche sugli stili non impoverissero il tango, come accade quando in realtà sono in gioco mercati potenziali o orgogli personali. Sarebbe più proficuo che la discussione sugli stili si sviluppasse per approfondire le conoscenze e per arricchire il tango.

In generale gli stili nascono dalle modificazioni originate dai valori culturali e dalle condizioni sociali degli ambienti dove si balla.

Nella tappa di consolidamento del tango, il modo di ballarlo subisce importanti cambiamenti.

José Gobello cita Viejo Tanguero, cronista del quotidiano “Critica de Buenos Aires” che nel 1913 dice: “In questo quartiere il tango ha subito grandi innovazioni, modificando non solamente le sue figure ma anche la sua elasticità e sinuosità , che furono la caratteristica interessante delle origini. Interpretato da ragazze per la maggior parte italiane, che non si adattavano al movimento che i creoli autentici imprimevano al ballo, a quel tango fu posto il nome di “tango liso”. Il cambiamento nel modo di ballare divenne quasi generale e perse l’aspetto originario. Per questo motivo molti di coloro che ballavano in quel quartiere riempivano le scuole di ballo. Tuttavia famosi ballerini, come “el flaco Saul” si identificavano nei due stili e ballavano con la stessa facilità nell’una o l’altra milonga”.

Le polemiche di allora non sono le stesse di oggi. Gli stili permangono e, a volte, si modificano. Per esempio, attualmente, le polemiche sui differenti stili non sono legate a ragioni di moralità o di pregiudizi culturali.

Tuttavia gli stili continuano il loro cammino di trasformazione, così come le polemiche continuano, ma il tango vive.

- Los Chantas Cuatro Team -

Written by admin in: Cultura, Lezioni | Tag:, , , ,

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