Nov
28
2010
--

Il passo e la rosa

I diari della Luchadora #7

Ci sono momenti nella vita in cui ovunque ti trovi, in ufficio, per strada, sull’autobus, senti che l’unica cosa di cui tu abbia bisogno in realtà sia un abbraccio sicuro che ti trasporti nell’oblio di un tango. Un tango senza aspettative. Un tango senza pretese. Solo per il bisogno di sentire di esserci. Solo per il bisogno di sentire la vita.

Poi ti trovi in milonga. Qui hai la possibilità di appagare quel sentimento triste che si balla. E, invece, non ci riesci. È come se di colpo perdessi le parole che avevi conservato con cura per quel momento tanto atteso. È come se di colpo non ricordassi più i passi che hai imparato con tanta pazienza. Nessuno ti invita a ballare. O, se ti invitano a ballare, non riesci a esprimere ciò che senti. Perché spesso vorremmo dire delle cose e, invece, non riusciamo a dire neanche una parola? Perché spesso vorremmo ballare in un certo modo e, invece, non riusciamo a fare neanche un passo?

Non so se sia una cosa normale per chi inizia a ballare il tango. Ma c’è un momento in cui si sconfigge la paura del contatto fisico con lo sconosciuto. C’è un momento in cui si apprezza la bellezza del contatto fisico con lo sconosciuto. C’è, poi, un momento in cui ci si piace dall’interno del microcosmo dell’abbraccio a due che si crea di volta in volta. Ed è come se ci si riuscisse a guardare dall’esterno e a compiacersi di quanto si sta facendo insieme. E poi c’è la fase del blocco. È normale avere la fase del blocco?

Ieri sera ero nella ormai famosa milonga dell’Eur. A proposito: bellissima, a conferma che il post di qualche settimana fa non era contro gli organizzatori! A dire il vero però, anche ieri sera qualche donna non ci ha risparmiati dai siparietti imbarazzanti… ma voglio spezzare una lancia in favore degli organizzatori: al momento dei “siparietti” ho guardato subito la faccia degli organizzatori stessi: imbarazzati anche loro…per fortuna! Dicevo… ieri sera ho chiesto alla mia esperta amica tanghéra G., se sia normale passare quella che chiamo “la fase del blocco”. G. mi ha detto che sta capitando anche a lei. Ma non ho fatto in tempo a spiegarle ciò che sento che G. ha iniziato a parlarmi del “suo” blocco. Un blocco che lei suppone essere di natura “psicologica e interiore, dettato comunque da un fattore esterno”. “Il fattore esterno” di G. è un ragazzo che ha incontrato in milonga. Lo abbiamo visto tutti che tra lei e il ragazzo è scattato subito qualcosa. “Qualcosa di fisico più che mentale” dice G.. Un’affinità che si traduce in un bellissimo tango anche solo da guardare. Ieri sera G. incontra quel ragazzo in milonga. È una serata speciale: è presente tutto il mondo del tango romano. L’occasione è un evento importante: due bravissimi ballerini argentini si esibiscono in pubblico. Prima dell’esibizione G. va a prendersi una cosa da bere al bar della milonga. Mentre si avvicina al bar, nella folla, ecco gli occhi di quel ragazzo incrociarsi con i suoi. Si salutano. Ma quel saluto è veloce e un po’ freddo. “È strano” dice G. “perché solitamente quando ci incontriamo lui è molto più espansivo e solitamente mi invita a ballare. O comunque almeno due parole ce le scambiamo. E poi, se non subito, ma comunque balliamo”. E, invece, quel ragazzo non inviterà G. a ballare. Chissà cosa scatta nella testa di G. che passerà tutta la serata ad accettare inviti da qualunque tanghéro. Lui si avvicina più volte a dove G. è seduta. Eppure non parleranno. O, meglio, parleranno a distanza ravvicinata, quasi schiena a schiena, ma rispettivamente con altre persone. G. avverte tristezza nel suo cuore. Cerca di scacciarla nell’abbraccio con altre persone. Eppure non ci riesce. E non solo non riesce a scacciarla. Non riesce neanche ad attenuarla. Mentre balla con altre persone cerca lo sguardo di quel ragazzo nella milonga. G. ha lo sguardo perso e assente. Tra una tanda e l’altra viene da me e mi dice che non sa proprio cosa le stia capitando. Cerca di concentrarsi, eppure non ci riesce. E allora sbaglia i suoi passi che fino al giorno prima la facevano volare sui suoi tacchi alti. Poi di colpo vede quel ragazzo abbracciato a un’altra ragazza. Ballano. Secondo G. nell’abbraccio dei due c’è la stessa passione che G. normalmente sente quando ballano insieme. Allora li guardo anche io. Effettivamente è innegabile. G. ha ragione. Il ragazzo mette la stessa passione anche con le altre. Però, ogni tanto, la guarda da lontano. G. si sfoga: “Non so spiegarmi cosa mi stia prendendo. È qualcosa di irrazionale: avverto dolore, delusione, rabbia! Quasi mi verrebbe da andare lì e dargli uno schiaffo in faccia! Ma perché? È assurdo!” Osservo il suo viso infuocarsi. La convinco a uscir fuori a fumare una sigaretta. “Il freddo – penso – la aiuterà a raffreddare i bollenti spiriti. “Perché – continua a ripetersi G. – dovrei provare gelosia per qualcuno che conosco appena?” Non so che risponderle e lei continua: “Quando l’ho visto abbracciato ad altre ho sentito il mio cuore lacerarsi”. G. è sopraffatta da un sentimento inaspettatamente nuovo. “È questa la gelosia? È giusto provare gelosia nel tango?”. Non so veramente cosa risponderle. Mi viene quasi da ridere pensando che inizialmente la domanda gliel’avevo fatta io pensando che, essendo G. una tanghéra più navigata, potesse avere più risposte di quante lei in quel momento ne stia chiedendo a me. Io, che nei sentimenti sono un disastro, e ora bloccata pure nel tango!

Ma è stato a quel punto che anche io mi sono chiesta se sia giusto provare gelosia nel tango. Se sia “normale”. E stamattina mi sono svegliata, ancora una volta, con in testa la canzone di Vinicio Capossela “Con una rosa”.

Spesso sento dire dalle coppie di tanghéri, che sono coppie anche nella vita reale, che quando vedono il proprio partner abbracciato ad altre persone provano ammirazione, piacere, tenerezza, felicità. Ma allora mi chiedo: cosa c’è da essere felici nel vedere la propria o il proprio partner in un intimo abbraccio con sconosciuti? Sia chiaro: l’abbraccio del tango cambia da persona a persona. Ma se ci si trova di fronte a un abbraccio inequivocabilmente passionale non è più normale provare dolore, delusione, rabbia? E poi: può esistere la gelosia nei confronti di una persona che neanche si conosce al di fuori di una milonga? Ha, dunque, ragione G.?

P.s.

Ho rivisto il tipo un po’ matto, forse un po’ brillo, certamente carino. Non riesco più a distinguere la follia dalla normalità. Perché il vero è percepito come follia verbalizzata mentre il falso diventa normalità non detta? Mi verrebbe quasi da dire: “Evviva il folle che ha il coraggio di dire ciò che pensa in faccia! Evviva il folle che ha il coraggio di sussurrare all’orecchio ciò che sente!”. E, allora, forse non sarà che è la verità, e non la follia, a far paura? Certamente, per ora, posso immaginare che i sentimenti di G. siano veri e mi fanno paura. Forse i sentimenti di G. sono un mistero che io ancora non ho conosciuto. Sono un mistero che io, certamente, non abito. E in cui, forse, non vorrò mai abitare. Neanche se mi venisse a cercare con una rosa. Perché, con la fortuna che ho, sarebbe piena di spine!

La Luchadora

Written by Luchadora in: Varie | Tag:, , , , , , , ,
Ott
01
2010
--

I diari della Luchadora #2

LA MIRADA

La prima volta che mi sono affacciata in una milonga ho strisciato con il corpo sulle pareti della sala per non creare intralcio alle coppie che stavano ballando nella sala. Sono sgattaiolata fino al tavolino a cui erano seduti anche i miei amici e, a bassa voce, ho scambiato qualche chiacchiera di circostanza con loro.

“È la tua prima volta?” ricordo che qualcuno mi ha chiesto. Sì, era la mia prima volta. Non sapevo nulla delle milonghe tranne che fossero luoghi dove le persone si incontrano per ballare il tango. Dopo qualche lezione avevo deciso di accettare quell’invito. Ero curiosa di scoprire, respirare, “il mondo della milonga”.

Dopo pochi minuti che ero seduta al tavolino con i miei amici vedo sul lato opposto della sala un tipo che mi fissa. Distolgo subito lo sguardo pensando: Chissà: eppure non mi sembra di conoscerlo. Passano pochi secondi ed ecco che la mia curiosità mi spinge a volgere lo sguardo verso quello sconosciuto: era ancora lì che mi guardava. Ma cosa vorrà mai da me? ho pensato. Gli sorrido. Ma solo per educazione. L’avrò conosciuto chissà dove! e mi rimetto a chiacchierare con i miei amici. Pochi minuti dopo con la coda dell’occhio vedo che il tizio in questione cammina lentamente, ma con passo deciso, nella mia direzione. Non starà venendo qui. Sì, sta venendo qui. Ah! Ho capito: sarà un amico dei miei amici! E quando è quasi di fronte a me, con l’occhio languido, reclina un po’ il capo verso la sua spalla destra e di colpo mi fa cenno di seguirlo.

“Ma questo ora che vuole?” esclamo io ad alta voce, cercando l’approvazione negli occhi dei miei amici. Il tizio in questione non si ferma un secondo di più. Imbarazzato, vira velocemente a destra e prosegue nella sua camminata facendo il vago. Dal portamento della sua ritirata si direbbe che sembra quasi sperare che nessuno abbia visto la scena. Invece, uno dei miei amici, seduto al tavolino con me, ha visto tutto e allora gli dico: “Roba da matti! Cosa voleva quello?”. Il mio amico scoppia a ridere. Non riesce a parlare per quanto sta ridendo. Finalmente, asciugandosi le lacrime agli occhi, risponde: “Era una mirada!”

La mirada. Come si riconosce una mirada? Come si fa? Quando si fa? E, soprattutto, chi la può fare? Solo gli uomini o anche le donne? Dopo diversi mesi da quella prima mirada, e dopo tante milonghe in cui sono entrata, ancora tento di imparare a riconoscere una mirada. E non è facile: soprattutto se sei seduta accanto a tante altre donne. Soprattutto se, come qualche mia amica, sei miope e non metti gli occhiali per sembrare più attraente!

B. ha iniziato a ballare il tango da pochi mesi e anche lei è già una “tango-addicted”. È una ragazza all’apparenza cinica e un po’ sfrontata. Ma forse queste sono solo maschere usate per nascondere bene la sua timidezza. Quando ho chiesto a B. come fa a riconoscere una bella mirada mi sono sentita rispondere: “E chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ed è stato a quel punto che B. mi ha voluto raccontare la mirada più bella che le sia mai capitata.

“Una mirada reciproca durata un’intera serata. È successo questa estate. A inizio agosto. Faceva caldo. E noi tangheri eravamo in una bella piazza di Roma a ballare. La serata milonguera era appena iniziata. Ricordo l’incrocio dei miei occhi con gli occhi di uno sconosciuto: era in piedi all’altro capo della piazza. Ricordo i nostri sguardi furtivi anche mentre lui ballava con altre donne e io con altri uomini. Eravamo abbracciati ad altre persone, eppure, i nostri occhi continuavano a sfiorarsi. Per tutta la sera. Ricordo il dolce dolore per l’attesa dell’invito. Ricordo che più di una volta, tra una tanda e l’altra, da lontano, lui guardava me, io guardavo lui. Divertiti, distoglievamo lo sguardo contemporaneamente. Fino a quando…“Questa, ragazzi, è l’ultima tanda. Chiudiamo con una selezione tutta italiana!” ha annunciato il musicalizador. Lo sconosciuto tanghero è venuto nella mia direzione. Un’ultima lunga mirada. Un sorriso accompagnato dalla gentile offerta del suo abbraccio. Ricordo la naturalezza con cui ho appoggiato la mia mano destra sulla sua mano sinistra. Un primo tango per conoscerci. Un secondo tango per emozionarci. Un terzo per salutarci Con una rosa di Capossela. E a sorpresa, sulle note di Mannarino, il musicalizador ci ha fatti salutare con un ultimo sorriso danzante. Che strano provare forti emozioni con un perfetto sconosciuto di cui non si sa neanche il suono della voce. Quel tanghero l’ho rivisto altre volte. Non ci ho mai parlato. Spesso ci scambiamo brevi cenni di saluto. Evito il suo sguardo. E, a dir la verità, spero di non ballare mai più con lui. Sarò pazza, ma è troppo forte la paura di sbiadire un bel ricordo durato lo spazio di quattro brani musicali”.

Quando B. mi ha raccontato questa storia ho certamente capito una cosa: che ancora non ho ben capito cosa sia “una bella mirada”! Perché, in fondo, “chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ma forse B. mi ha fatto capire anche qualche altra cosa. Che potrà anche esserci un’etichetta da seguire, ma che uscire dai binari a volte può essere più emozionante. E che forse sarà proprio il tango a scaldarci dalla fredda quotidianità metropolitana. A farci riappropriare della bellezza di uno sguardo improvviso e inaspettato.

La Luchadora

Written by Luchadora in: Varie | Tag:, , , , ,

Powered by WordPress | Aeros Theme | TheBuckmaker.com WordPress Themes