Ott
29
2010

La vita è una milonga e io non tango da sola

I diari della Luchadora #5

A volte capita che da un abbraccio con un perfetto sconosciuto si origini un fiume di emozioni e sensazioni inaspettate. A volte, invece, capita che più si conosce una persona più l’abbraccio con questa persona non genera grandi emozioni o, addirittura, genera fastidio. Ma perché? Quanto la conoscenza dell’altro condiziona l’intensità di un abbraccio? E in che modo l’abbraccio può essere condizionato?

La Luchadora torna a scrivere. E stavolta lo fa dopo aver inaspettatamente spaccato in due la comunità tanghéra romana. Scrivo “tanghéra” e non “tanguera”. E lo faccio con cognizione di causa perché sono una purista della lingua italiana. In post precedenti a volte avevo fatto uso della “h”, altre volte della “u”. Voglio chiarire l’equivoco: da oggi farò uso della “h”, a meno ché non si tratti di una parola in argentino. Ma in quel caso la leggerete in corsivo. Dicevo… torno a scrivere dopo aver sollevato, senza volerlo, un polverone nella comunità tanghéra romana. Fortunatamente lo strumento del blog o dei social media consente di interloquire in tempo reale con i potenziali lettori. Ma non consente, come penso sia avvenuto in questo caso, di chiarire. Dopo l’ultimo post ho ricevuto molti ringraziamenti soprattutto da parte di molte donne, ma anche di molti uomini (per lo più “giovani”, il che ci offre speranza!) maggiormente sensibili e che sono stati capaci di cogliere il messaggio che volevo comunicare. Se la vita è una milonga, non si può certamente pretendere di essere accettati da tutti. Ed è per questo che ho ricevuto anche molti insulti da chi si professa “gentiluomo” o “gentildonna”. È stato addirittura “simpatico”, per non dire “surreale”, venire a sapere che una donna ha scritto, riferendosi a me: “Quando je menamo?”. Si è addirittura ventilata l’ipotesi che io sia un’organizzatrice di serate milonghere in incognita, e che mi nasconda dietro a uno pseudonimo per codardia. Mi spiace per la povertà culturale di questi ipotetici lettori che evidentemente non sanno quanta distanza copre l’anonimato puro da un semplice pseudonimo che prima o poi rivelerà la persona che si cela dietro al nome “la Luchadora”. Come ho già risposto a qualcuno di questi lettori, mi spiace che le mie parole non possano essere comprese da tutti. Ma questi sono diari. E i diari, si sa, si basano su sensazioni e osservazioni personali. In quanto sensazioni sono personali e, dunque, non devono essere oggettive e necessariamente condivise da tutti. Ma soggettive. Una persona può decidere di rispecchiarsi nelle parole di un’altra o meno. Però chiedo rispetto. Lo pretendo.

Questa volta voglio raccontarvi qualcosa a proposito dell’abbraccio. Non parlerò dell’abbraccio sociale dei “tàngheri”. Sì, avete letto bene: “i tàngheri”. Perché, la scorsa settimana, quell’inesistente abbraccio sociale mi aveva quasi fatto venir voglia di pensare: “Ma chi me la fa fare non solo a condividere pensieri e parole ma, addirittura, chi me la fa fare a condividere l’abbraccio con persone che magari spendono cattiverie nei miei riguardi e poi non si chiedono se – questa sì che è divertente, preparatevi! – per caso loro ci abbiano mai ballato con la Luchadora! E magari gli è anche piaciuto ballarci insieme! Eh, già…

La cosa sorprendente è che il profondo abbraccio individuale con un tanghéro, una volta svelata la sua identità di “tànghero” capace di far “branco” con tanti altri “tàngheri”, svanisce nel nulla. E allora? Allora forse ha ragione chi sostiene che nel tango non bisogna parlare ma solo ballare? No, non voglio cadere in questa cinica visione della milonga. Perché se la vita è una milonga e se il tango mi ha aiutata a riscoprire il calore della vita attraverso l’incontro di due anime, io di certo non mi farò scoraggiare dal mancato abbraccio sociale dei “tàngheri”.

Sono tornata in una milonga con i miei amici. E pensare che neanche i miei amici più intimi immaginano chi si celi dietro alla Luchadora! Eravamo in milonga. Mi vedevano un po’ restia nel ballare. Io lo sapevo cosa non andasse in me: sapevo di temere che la delusione dell’abbraccio sociale dovuto alle polemiche relative all’ultimo post, per me, si potesse tradurre nella delusione dell’abbraccio individuale. Dopo aver accettato i primi inviti a ballare ho scoperto che ci si può riappropriare di una sorta di bellezza dell’abbraccio anche con un “tànghero-tanghéro”. Ma che questa, d’ora in poi, sarà una bellezza superficiale, quasi tecnica. Puramente estetica. Non certamente profonda, sentita, vissuta. Quando, invece, ho abbracciato chi nei giorni scorsi ha inconsapevolmente preso cura del mio asse durante l’avvitamento sociale che quel mio post ha creato all’interno della comunità tanghéra romana, ho sentito l’abbraccio vero. E, allora, sì, ne ho avuto la conferma: la vita è una milonga. Da una discussione se ne può uscire più uniti oppure ci si può ritrovare uno di fronte all’altra, sapendo e sentendo di non esser fatti per condurre insieme neanche un passo. Perché non c’è armonia, non c’è ritmo, non c’è ascolto.

Qualche giorno dopo, in un’altra milonga mi è capitato di ritrovarmi nell’abbraccio con un perfetto sconosciuto. Una mirada e via. Ecco la sua mano sinistra pronta ad accogliere la mia mano destra. Non la stringeva. Eppure c’era. Pochi attimi dopo ho appoggiato il mio braccio sinistro sulla sua schiena. Un lungo respiro per ascoltare il battito dell’altro. I primi passi. Lui ascoltava me. Io ascoltavo lui. Non parlavamo, eppure stavamo comunicando. Respiravamo l’intensità delle pause attraverso i nostri sguardi. Eravamo entrambi presenti senza imporci. Mi sono chiesta come sia possibile un’intima comunicazione a due, senza pronunciare una singola parola. Forse perché in quell’intimo rapporto a due, in cui ci si dimentica di essere circondati da tanti altri microcosmi, non ci sono sovrastrutture dettate da un branco d’appartenenza? Forse perché il tango è anzitutto fiducia? Sì, il tango mi ha fatto l’ennesimo regalo inaspettato. Mi ha regalato la speranza. La speranza di potermi fidare dell’abbraccio con un perfetto sconosciuto.

La vita è una milonga e il tango ci regala la speranza di poterci fidare dell’abbraccio di uno sconosciuto. È un regalo prezioso. Ed è per questo che dobbiamo prendercene cura. Ed è per questo che, superata la tempesta, “io lo so che non tango da sola”.

La Luchadora


Written by Luchadora in: Varie | Tag:, ,

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